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Cristo di Lecco Gioconda (II)

riflessione dell'artista pittore
ALBERTO DISCANNO

Come non sentire in queste opere l'intensità, la forza penetrante dello spirito, di quel soffio interiore sorgente della risonanza, dell’eco divino? Sembrano dirci: "Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza…" L'Ulisse di Dante, dell'umanità intera che randagia lo è per natura, in questo al pari di ogni essere vivente. Viaggiatori erranti nei luoghi del mondo e dell'anima intrecciati profondamente alle ragioni del rigore scientifico, della necessità  e dello spirito senza mai separare nulla, non ultimo il dramma dell'universo.
Humanitas tanto grande da avere contorni nebulosi, offuscati, sfocati e strabici di vite esaltanti e umilianti, fatte di gesti magnifici e di viltà miserabili.
Il messaggio è chiaro e potente come quello di Gesù riportato dal vangelo di Giovanni: l'amore perpetuo, lo spirito della verità non ci lascia soli e resterà con noi per sempre.
Padre Alberto Maggi, biblista e teologo può aiutarci a comprendere la natura del vero Cristiano...
"...nel cattolicesimo siamo eredi di una spiritualità che distaccatasi dai vangeli ha devastato a volte in maniera irrimediabile la vita dei credenti. Uno dei grandi responsabili di questa devastazione fu un papa del medioevo, Innocenzo III. Quando ancora era cardinale, scrisse Il disprezzo del mondo, libro che per circa sei secoli fu un bestseller e formò, o meglio deformò, la spiritualità Cristiana. Lotario, confondendo il suo tetro pessimismo per sante ispirazioni, scrisse: “L’uomo viene concepito dal sangue putrefatto per l’ardore della libidine, e si può dire che già stanno accanto al suo cadavere i vermi funesti. Da vivo generò lombrichi e pidocchi, da morto genererà vermi e mosche; da vivo ha creato sterco e vomito, da morto produrrà putredine e fetore; da vivo ha ingrassato un unico uomo, da morto ingrasserà numerosissimi vermi… Felici quelli che muoiono prima di nascere e che prima di conoscere la vita hanno provato la morte… mentre viviamo continuamente moriamo e finiremo di essere morti allorquando finiremo di vivere, perché la vita mortale altro non è che una morte vivente…” (De cont. mundi 3,4). I danni prodotti da questa letteratura tetra (basta citare l’Imitazione di Cristo) sono stati devastanti. La teologia nei secoli si è occupata più della sofferenza che dell’allegria, della mortificazione anziché del piacere, del pianto più del riso (“Gesù non ha mai riso” era nel sec. XVIII l’imperativo di predicatori incapaci di un sorriso), e l’abito da lutto divenne la divisa di preti e suore. I teologi si sono interessati più della morte che della vita. L’unica vita che li interessava era quella eterna, dell’al di là. La vita terrena non era altro che un’immensa valle di lacrime nella quale sguazzavano le pie anime devote in attesa della morte: “La mattina, fa’ conto di non arrivare alla sera: e quando poi si farà sera, non osare sperare nel domani. Sii dunque sempre pronto…” (Imitazione di Cristo, XXIII, 1). Una spiritualità che divinizzava la sofferenza e la morte non aveva altro rimedio che insegnare ai credenti di porre l’unica speranza nell’altra vita, la sola degna di essere chiamata tale. La felicità degli uomini in questa esistenza non era contemplata. Per spiritualità cristiana, evangelica, s’intende una vita guidata, potenziata, arricchita dallo Spirito di Gesù, lo Spirito Santo, la forza vitale che proviene da Dio ed è la vita stessa di Dio che viene comunicata. Questa spiritualità non entra in conflitto con la vita, ma la potenzia, non è una rivale della felicità, ma la permette, non diminuisce la persona, ma l’arricchisce, non toglie il sorriso, ma lo illumina.

Cristo di Lecco - Gioconda (II): Benvenuti
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